La Stampa
Un quadro agghiacciante e pietoso delle condizioni di salute del bimbo, appena 17 mesi, è quello che subito emerge dall’esame delle conclusioni ufficiali dell’autopsia, atto depositato nei giorni scorsi alla procura della Repubblica di Imperia dal perito di medicina legale Marco Canepa
Pagine fitte di annotazioni, riguardano le innumerevoli lesioni che il perito settore Marco Canepa ha rinvenuto (e dettagliatamente descritto) sul corpicino del piccolo Gabriel. Sono lo screening, la mappatura di un calvario subìto da quella piccola creatura nei giorni che hanno preceduto la sua morte, il 14 maggio scorso. Come il calcio sferrato al fegato (quasi con certezza) è la causa della devastante e fatale emorragia, così la serie di lesioni riscontrata dal professor Canepa sembra essere la prova di un’inesorabile e progressiva sofferenza per l’inerme e indifeso Gabriel Petersone.
Un quadro agghiacciante e pietoso delle condizioni di salute del bimbo, appena 17 mesi, è infatti quello che subito emerge dall’esame delle conclusioni ufficiali dell’autopsia, atto depositato nei giorni scorsi alla procura della Repubblica di Imperia dal perito di medicina legale genovese.
Lividi, contusioni, lesioni e persino una vasta ferita sul sederino dovuta al ristagno di pipì, una sorta di piaga da decubito, sono elementi che costituiscono la parte forse più choccante dell’indagine necroscopica.
E le posizioni dei due indagati, la mamma Elizabete Petersone, 21 anni, lettone, e il suo convivente Paolo Arrigo, 24 anni, imperiese (in attesa di un responso sulla sua istanza di scarcerazione) sembrano aggravarsi ulteriormente.
Il consulente tecnico, medico legale, così come richiesto dal pubblico ministero Filippo Maffeo coordinatore dell’intera indagine, ha esaminato in tutti i suoi dettagli i “patterns” (elementi indicatori) che potrebbero costituire una prova delle violenze. E le pagine, riassumibili in due o tre, appaiono sconvolgenti. Le lesioni più evidenti sarebbero riconducibili in termini di tempo ad un arco compreso tra i due e i sette giorni prima del decesso.
Quindi, poco prima della morte, Gabriel deve essere stato vittima di una serie di violenze in progressione. Alcuni indicatori fanno inoltre supporre che le lesioni siano state provocate dall’uso di corpi contundenti arrotondati, ovvero strumenti tipo corde, ciabatte, cinture eccetera oppure a percosse quali schiaffi o calci. Elizabete Petersone ha ammesso di aver dato qualche scapaccione, conseguenza di capricci, al suo bambino, ma ha sempre negato di averlo selvaggiamente percosso. Arrigo ha sempre affermato invece di essersi preso cura lui, a volte, del piccolo, trascurato dalla mamma.
Sempre stando all’autopsia non può essere escluso che parte delle lesioni, alcuni lividi e contusioni, possano essere riconducibili ad eventi traumatici forse accidentali. Sia Elizabete che Paolo hanno sempre sostenuto che il piccolo era irrequieto e in qualche caso è anche caduto. Così accadde anche nel mese di marzo del 2009, due mesi prima della morte, quando il piccolo riportò una frattura ad un braccino. Il fatto comunque insospettì i medici ed anche la polizia, che seguirono da quel giorno, con discreta attenzione, la vita della coppia.Il perito ha riscontrato infine una vasta ferita al gluteo sinistro, dovuta con ogni probabilità al ristagno di urina: ha provocato una lacerazione cutanea molto simile alle piaghe che colpiscono coloro che sono costretti nel letto.
Il quadro che ne emerge lascia attoniti, senza parole. E sorge spontaneo chiedersi: come ha vissuto quei suoi ultimi giorni il bimbo?
«Abbiamo sempre sostenuto l’innocenza di Paolo Arrigo e ne siamo convinti - afferma l’avvocato Nicola Ditta che assieme a Maurizio De Nardo, assiste il giovane imperiese - Arrigo, nell’arco di tempo descritto e definito dal perito, non era presente in casa. Vale a dire: non stava con Elizabete. I due erano in lite, lui voleva che la ragazza lasciasse l’appartamento di via Costamagna. Ha sempre dichiarato di essersi preso molto spesso cura del piccolo, al quale voleva bene, nel periodo di convivenza. Ha sempre negato ogni forma di violenza perpetrata su Gabriel. Ma la ragazza lo ossessionava. Desiderava che lui tornasse. Ci sono testimonianze di tutto ciò». Arrigo, rinchiuso nel carcere di Imperia, colpito come Elizabete, dall’accusa di omicidio preterintenzionale, attende oggi il responso dell’appello del tribunale del Riesame sulla sua istanza di libertà.
La stessa richiesta di libertà non l’ha formulata invece Elizabete, che resta rinchiusa nel carcere di Genova Pontedecimo. Per lei, in quanto madre e quindi responsabile del figlio, la posizione è più grave secondo la legge. «Elizabete ha affermato di non essere stata lei a sferrare il calcio mortale nel suo unico interrogatorio - ha spiegato il legale che si occupa della difesa, Tito Schivo - Questo è quanto basta per noi.
Quale sarebbe stato il suo scopo nel portare avanti la gravidanza? E perchè venire in Italia dalla Lettonia con il suo bambino? Per poi ucciderlo con un calcio? Per maltrattarlo? Circa le lesioni riscontrate ne discuteremo in sede di udienza preliminare: il quadro è agghiacciante. È necessario che la perizia sia sottoposta ad un attento vaglio e ad un confronto con le perizie di parte eseguite dal nostro tecnico». E aggiunge:«È prematuro esprimersi senza un esame attento di tutta la vicenda. Resta il fatto che non è stata Elizabete a sferrare il calcio mortale».