La Valtellina li vieta: cadrà anche quello alla Sassella. E dovrà essere abbattuto l’ecomostro di Seregno
MILANO—L’immagine-simbolo dello scempio in Valtellina, quel cartellone di 18 metri quadrati piantato da anni davanti al santuario della Sassella in barba al vincolo paesaggistico, finirà in archivio. Tutti gli impianti pubblicitari, abusivi e non, situati fuori dai centri abitati nella provincia di Sondrio saranno rimossi. E anche l’oscenità di quei capannoni che negli ultimi anni hanno deturpato il fondo valle sarà fermata.
Le ripetute denunce del disastro paesaggistico in tutta la valle hanno infatti finalmente spinto l’Amministrazione provinciale a varare con importanti linee guida anche nel settore della cartellonistica il Piano territoriale di coordinamento, pronto dal 2003 e atteso da vent’anni. «Adesso—dice con soddisfazione l’assessore alla grande viabilità Ugo Parolo — entro l’estate approveremo il regolamento di attuazione, destinato a porre fine a una situazione di vera emergenza».
Gli «spot» di carta
Oltre ai divieti, sono previste azioni mirate all’immediata rimozione dei cartelli abusivi. Ma per vedere la valle del tutto ripulita, considerata la durata di alcune concessioni, ci vorranno comunque un paio di anni. Sarà, quella della Valtellina, l’unica zona della Lombardia «decartellonizzata», in uno scenario in cui proliferano abusivismo e mancanza di controlli, con la partecipazione di molti Comuni che puntano a fare cassa ignorando anche il codice della strada.
Prendiamo un caso-tipo, quello denunciato dal Corriere il 5 marzo: l’ecomostro sorto su terreno privato, nel Comune di Seregno, ai margini della statale 36, strada extraurbana principale «lungo e in vista» della quale l’art. 23 del codice vieta «qualsiasi forma di pubblicità». Si tratta di un palo di acciaio alto 24 metri con basamento di cemento, sulla cui sommità sono piazzati due grandi cartelloni pubblicitari che vengono affittati per 25 mila euro l’anno.
Il Comune ha rilasciato il 10 luglio 2009 il permesso di costruire. Ora al Settore edilizia privata dicono che c’è stata una svista e il 10 marzo scorso hanno scritto al proprietario di fornire il nulla osta dell’Anas, al quale non è mai stato chiesto dal momento che non potrebbe proprio darlo. Il bello è che, allegato alla domanda del permesso di costruire, c’era il parere di un avvocato che riteneva legittimo il megaimpianto solo sulla base del Piano regolatore. Il Comune ha chiesto un controparere a uno studio legale che ha confermato, aggiungendo però un «salvo il rispetto delle norme del codice della strada». La licenza edilizia è stata comunque concessa. Adesso l’impianto sarebbe da abbattere.
L’Anas, tenuta per legge a vigilare, si è accorta dell’ecomostro e dice di aver «elevato debito verbale il 10 dicembre 2009», precisando che «la rimozione risulta oltremodo complessa in quanto in proprietà privata l’accesso è possibile solo con ordinanza giudiziale». L’autore della violazione non è però stato contestualmente diffidato a rimuovere l’impianto. La motivazione? «Il codice prevede la diffida senza tuttavia stabilire quando essa debba essere inviata». A richiesta di altre spiegazioni l’Anas dice: «Il verbale è stato elevato il 10 dicembre 2009 e notificato il 30 dicembre al trasgressore, che lo ha ricevuto il 4 gennaio 2010. Da quella data, si è ritenuto opportuno attendere il termine di 60 giorni per l'eventuale ricorso da parte della ditta». Periodo scaduto proprio il 5 marzo, giorno in cui è uscita la denuncia del Corriere.
23 marzo 2010