di Francesco G. Esposito
CASERTA - Dieci materie da studiare e un solo voto possibile: dieci. Lei si chiama Blessed, ha sei anni e ha iniziato nel migliore dei modi possibile la sua vita scolastica. In qualunque famiglia sarebbe «benedetta» quella pagella, proprio come la traduzione italiana del suo nome. E ancor di più nella sua perché lei, nata in Italia da genitori nigeriani clandestini, è già la più brava della classe in un territorio di frontiera, quello di Castel Volturno, dove la lotta per la sopravvivenza e la costante pressione della criminalità rappresentano la vera costante del vissuto quotidiano.
Quello in cui, paradossalmente, la mamma e il papà non sanno ancora dell’exploit della piccola Blessed, che parla inglese in casa e un italiano perfetto in classe. La sua pagella è l’unica rimasta a scuola, affissa in bacheca ma non ancora ritirata dai genitori, che la maestra sta provando a contattare da giorni. Se è vero che la legge italiana garantisce il diritto-dovere dei figli di immigrati di essere iscritti alla scuola dell’obbligo, indipendentemente dalla regolarità della propria posizione e da quella dei genitori (articolo 45 del DPR n. 394/1999), non c’è norma che tenga di fronte al terrore dei genitori di essere espulsi.
«La bambina è un riferimento per gli altri, la mamma l’accompagna e la viene sempre a prendere, è certamente lei - racconta la maestra Teresa Patararo - a seguire Blessed nel percorso scolastico iniziato nella prima D della scuola Giuseppe Garibaldi».
A Pinetamare, frazione di Castel Volturno, l’area del litorale domizio con la più alta concentrazione di immigrati della provincia di Caserta. Basti pensare che nella terra di nessuno dove è sempre più labile il confine tra Stato e antistato, ai 24mila abitanti si aggiungono almeno diecimila stranieri irregolari, fantasmi che lavorano spesso nei campi di pomodori per una ventina di euro al giorno e che la notte si eclissano stipati tra la pineta e i ruderi di quella che una trentina di anni fa ambiva a diventare zona turistica, nella speranza di non essere rimpatriati ma soltanto di svegliarsi il giorno dopo e trovare un lavoro vero, per emergere dall’abisso e diventare cittadini veri.
Timida e introversa nella vita di tutti i giorni, la piccola Blessed si trasforma quando si tratta di studiare: gli occhi profondi le brillano velati a stento dalle treccine e viene fuori la «secchiona» che ha sempre i quaderni in ordine, perfetta nei compiti e impeccabile nelle risposte alla maestra Teresa. Il miglior spot possibile per la convivenza multiculturale in una terra di frontiera dove l’integrazione è molto più avanti delle stesse norme che la dovrebbero regolamentare.
Se deve fare una cosa, Blessed la fa sempre al massimo. Così le hanno insegnato mamma e papà. Gli stessi che, poi, alla fine dell’anno, non si sono presentati neppure per raccogliere i frutti (quelli scolastici).
Intanto Blessed, precisa e ordinata fin da piccola, alla prima occasione, ha già saputo ripagarli con una speranza. Lì, tra i banchi, dove la testardaggine di una maestra di provincia - un po’ docente, un po’ mamma - l’ha presa per mano con l’obiettivo di fornirle i primi strumenti di quel riscatto che può partire dalla cultura.
Blessed, quel primo passo sulla strada della conoscenza, lo ha fatto con tutte le sue forze, ripagando speranze e aprendo la strada all’integrazione vera. Ha solo sei anni ma è già un punto di riferimento per la sua classe, quella prima elementare dove ci sono cinque stranieri su 18 alunni, dove l’integrazione si fa con i fatti più che con le leggi. In quella terra di frontiera dove, su seicento alunni, un centinaio sono stranieri e dove Blessed può rappresentare la chiave per aprire la porta multicolore di una nuova casa, sicuramente migliore. «Deve restare con noi, è un modello», ripete la maestra.
Portare i bambini tra i banchi è già una vittoria
di Vincenzo Ammaliato
CASERTA - «Non ero informata della pagella della piccola Blessed, semplicemente perché ricevere il massimo dei voti per i bambini che frequentano le nostre prime non rappresenta un’eccezione, neanche per i figli degli immigrati, che per noi sono identici sotto tutti i punti di vista agli altri studenti; insomma, non importa da dove provengano i loro genitori».
Nasconde a fatica la soddisfazione per quella pagella, che sembra un piccolo miracolo domiziano, la preside della scuola di Pinetamare dove ha frequentato la prima elementare la piccola Blessed. Lei è Nicoletta Fabozzi, giovane e dinamica dirigente di un istituto scolastico di frontiera, dove già arrivare a fine anno con plessi scolastici fatiscenti e risorse al lumicino appare come un traguardo epico.
Ma il risultato scolastico di Blessed è sicuramente un motivo di vanto per tutto il corpo docente e i dirigenti dell’istituto.
«È certamente un vanto, ma non perché la bambina sia figlia di stranieri. È sempre una gran soddisfazione quando qualsiasi nostro studenti raggiunge un buon profitto, a prescindere dal colore della pelle».
La pagella di Blassed può diventare una speranza per un territorio bistrattato come questo del litorale domizio, continuamente alle prese con problemi d’integrazione fra immigrati e indigeni?
«Questo è fuori dubbio. Ma la semplice frequentazione scolastica dei bambini figli di genitori stranieri, a prescindere dai voti eccellenti come quelli ottenuti da Blessed, già di per sé rappresenta un lavoro sociale di grossa portata per il territorio».
In che senso, mi può spiegare meglio?
«I cosiddetti immigrati di seconda generazione, come i nostri studenti figli di stranieri, ma nati o cresciuti in Italia, si sentono italiani a tutti gli effetti; a differenza di gran parte dei loro genitori, che continuano a parlare la lingua d’origine e a conservare molte delle loro abitudini. Eppure, durante i cinque anni di scuola, gli insegnanti notano un certo cambiamento nell’approccio dei genitori. In pratica, la serenità con cui i loro frequentano le elementari, li porta a credere nel nostro sistema e si adeguano pian piano a determinati cambiamenti anche culturali».
Quindi figli di genitori italiani e di immigrati alla scuola di Pinetamare partono tutti dallo stesso livello?
«Questo, purtroppo, non è vero in assoluto. Soprattutto se i bambini hanno genitori irregolari. In questo caso i piccoli studenti devono confrontarsi continuamente con ristrettezze legislative, che ostacolano la stessa formazione scolastica. I bambini accusano inevitabilmente la differenza con i loro amici di scuola, ma gli insegnanti cercano di fare di tutto per lenire i disagi. E anche per questo motivo che molto spesso le nostre maestre e i maestri sono visti dai bambini come dei secondi genitori. E il forte vincolo resta anche quando completano i cinque anni di studi».
Lunedì 09 Luglio 2012 - 14:12