Il Messaggero
In lbreria l'Illusionista, un libro di Corrias, Pezzini e Travaglio in cui si racconta l'ascesa e la caduta del capo leghista
E' in libreria L’Illusionista. Ascesa e caduta di Umberto Bossi (Chiarelettere, pag. 208, 13 euro) di Pino Corrias, Renato Pezzini e Marco Travaglioun libro in cui si ripercorre tutta la parabola politica di Umberto Bossi – già barista, fattorino, installatore di antenne, impiegato all’Aci, supplente, infermiere, finto medico, cantante – durata un ventennio. Ora che la marcia trionfale che lo ha portato dalla provincia lombarda alla conquista di Roma si è esaurita, e un’intera stagione politica si sta chiudendo, è tempo di raccontarne la storia. Ne anticipiamo un capitolo
di
Pino Corrias, Renato Pezzini e
Marco Travaglio

Non è mai stata l’amicizia a tenere insieme Umberto Bossi e Roberto Maroni, anche se in tanti lo credono. Semmai la reciproca utilità e di sicuro anche un secchio di colla d’antichità incerta, e comunque coeva ai primi anni del loro sodalizio, quando riempivano le notti di chilometri, scritte e manifesti.
Quella del secchio è una storia che il Capo ricicla ogni volta che i due, dopo uno scontro, si riconciliano, per far credere almeno ai militanti che la colla basti a spiegare i misteri di un legame che a occhio nudo appare indecifrabile.
Trent’anni di dittatura interna non hanno consegnato alla storia della Lega un solo atto di clemenza di Bossi nei confronti dei ribelli: «È inevitabile agire con durezza. Lo impone la legge della rivoluzione federalista». E quella legge il Capo l’ha esercitata con una certa voluttà. Tranne che con Bobo. Al quale è sempre stato perdonato tutto, perfino l’insubordinazione, perfino il tradimento, fino all’epilogo finale.
Decine di colonnelli padani hanno invocato pubblicamente la sua espulsione, compresa Manuela Marrone, che non lo ha mai sopportato per quella ingombrante vicinanza col marito. Qualche volta ci sono quasi riusciti. Ma il quasi non è abbastanza. Perciò Maroni è ancora lì: e adesso comanda.
La verità è che, a forza di viaggiare insieme, uno è diventato indispensabile all’altro. Proprio come capita nelle lunghe storie di coppia senza amore, quando gli opposti si tengono insieme anche per dividersi i compiti del giorno per giorno. Finendo per diventare complementari: presidiare uno la luce delle sentenze apodittiche, delle pubbliche decapitazioni, e l’altro l’ombra della mediazione che ricuce.
Ci vuol poco nella Lega di Bossi per essere cancellati. Al cognato Pierangelo Brivio bastò reclamare una candidatura al parlamento: rimediò insulti e un pugno. Franco Castellazzi, numero due nei primi anni Novanta, pagò l’imprudenza di chiedere la metà del timone: ghigliottinato con l’accusa di «farsela con Craxi, la Cia e i russi del Kgb». Gianfranco Miglio venne trasformato da «il nostro grande Professore» a una «scorreggia nello spazio» quando pretese di diventare ministro. Poi il ligure Bruno Ravera, gli emiliani Giorgio Conca e Carla Uccelli, i piemontesi Roberto Gremmo e Gipo Farassino, il lombardo Piergianni Prosperini: tagliati via come rami secchi. Tutti liquidati in pubblico, derisi, archiviati: «C’è qualcun altro che non ha capito?».
Maroni invece no. In pieno governo Berlusconi, estate 1994, osa dire in pubblico che «Bossi sta sbagliando tutto», vuole «squagliare non solo il governo, ma anche il movimento». Di più. A ottobre si presenta a Ponte di Legno, dove Bossi sta trascorrendo gli ultimi giorni di relax con famiglia al seguito e un drappello di fedelissimi. Va a chiedere l’inaudito: condividere il potere, anzi «essere il cuscinetto fra la segreteria federale e i gruppi parlamentari» per scongiurare l’imminente rottura che Bossi progetta contro Berlusconi e che Bobo considera un errore, in nome «della governabilità».
Un’altra cosa inaudita accade quel giorno: stavolta è Maroni che parla ed è Bossi che ascolta, consumando Marlboro come fossero mentine, entrambi appartati in una saletta dell’Hotel Mirella, mentre i colonnelli seguono da lontano quello strano faccia a faccia. Bossi ascolta Maroni ma poi fa il contrario. A lui la governabilità interessa meno di zero. È convinto che il Cavaliere gli voglia svuotare il partito e agisce di conseguenza, staccando la spina al governo che sta ipnotizzando i suoi uomini.
Perciò al congresso federale di quel freddo febbraio 1995, dopo che almeno cinquanta parlamentari hanno tradito, passando con Berlusconi, tutti aspettano il patibolo pubblico sul quale verrà decollato il re dei traditori, lo scudiero. La folla dei delegati è spietata con il perdente, sente l’odore del sangue. Lo fischiano. Lo isolano. Lo chiamano «Mister Tentenna», «lo scimmiotto di Arcore», «il fighetta». Ma, invece del patibolo, Bossi tiene una mano in tasca e una sul cuore: «Non vogliamo condannare nessuno. Semmai piangere sui nostri dolori. Purtroppo il coraggio nessuno lo può regalare, bisogna che ogni uomo lo trovi nella propria anima. Chi se ne vuole andare però se ne vada oggi, per favore. Perché da domani la Lega intende lanciarsi all’attacco. Da domani i traditori, i pavidi, i venduti li chiameremo con il loro nome».
Da quel buco nero Bobo inaspettatamente risale. Ci vorranno mesi e una pubblica ammenda, le scuse, il pentimento, il perdono. Ingoia persino gli striscioni che lo irridono: «La Lega ce l’ha duro e i maroni ce li ha sotto». Poi, ad aprile, dopo il castigo, la plateale riammissione, durante un comizio a San Pellegrino, quando Bossi lo chiama sul palco per abbracciarlo alla sua maniera: «Maroni, traditore, dove sei?».
Eppure in quei mesi qualcosa si è incrinato per sempre.
Bossi ha perdonato Bobo, ma senza dimenticare. Anche perché ogni sera, in casa, la militante più ostinata, Manuela Marrone, non perde occasione di ricordarglielo. Per questo, come una profezia che lentamente si avvera, nei giorni neri della malattia e del ricovero Manuela si convincerà che Bobo voglia di nuovo sostituirsi a Umberto. E da subito lo taglierà fuori dal Cerchio che si sta stringendo a protezione del proprio ostaggio. Non sa, ironia della sorte, che estromettendolo finirà per favorirlo nella battaglia futura, quella finale. [...]

Venerdì 28 Settembre 2012 - 14:39
Ultimo aggiornamento: 15:27