Corriere della sera
Lorenzo, bancario, e la moglie impiegata: ce la facciamo per un soffio. E per la scuola dei figli dobbiamo portare tutto noi

«Fosse l’Imu il problema, la verità è che paghiamo le tasse ma lo Stato continua a non darci i servizi: per i nostri figli siamo costretti a portare a scuola la carta igienica. Abbiamo eroso tutti i risparmi e se ci troviamo con una spesa improvvisa ci troviamo letteralmente in crisi». Quando si parla di ceto medio tartassato, Lorenzo Pirri non si sorprende. Ovvio, lamentarsi delle tasse è fin troppo semplice, ma chi come lui ha vissuto il passaggio dagli anni 90 a oggi con un’assunzione in tasca e uno stipendio dignitoso, sente un bel po’ la differenza.
Pirri ha 44 anni e fa parte di quei 4,1 milioni di contribuenti che
versa il 51,7% di tutta l’Irpef. Lavora in banca come quadro e guadagna circa duemila euro netti al mese. «Non proprio una miseria — ammette — ma neanche un’enormità». Soprattutto se vivi a Milano con moglie e due figli di 13 e 7 anni. Del capoluogo lombardo Lorenzo conosce bene pregi e difetti, compresi quelli per cui la mattina preferisce prendere i mezzi pubblici e risparmiare su traffico e benzina. In zona Fulvio Testi è nato e cresciuto con il papà sarto e la mamma casalinga e per laurearsi in Economia e commercio si è dovuto rimboccare le maniche: alla dogana la mattina, tra i banchi dell’università la sera.
Nel 1997 l’assunzione in un istituto di credito. «Era il periodo in cui venivano a cercarti loro, le aziende — spiega — tant’è che io ho cominciato a lavorare in banca prima ancora della tesi di laurea: ho cominciato al servizio organizzazione, poi sono diventato analista funzionale. Mi occupavo dei fondi italiani ed esteri per la clientela istituzionale». Il primo stipendio un milione e quattrocentomila lire. «Sono subito cresciuto professionalmente — precisa — e ora sono un quadro di secondo livello. Ho ottenuto la promozione nel 2002 e anche con molta soddisfazione. Ma con mia moglie impiegata che guadagna altri 1.100 euro, ce la facciamo per un soffio».
La famiglia Pirri ha una macchina sola («Una C5 usata»), una casa di proprietà senza box auto, un mutuo di 25 anni e qualche preoccupazione. «Se non avessimo i nostri genitori che ci aiutano, sarebbe veramente difficile — aggiunge Lorenzo —. Arriveremmo a zero ogni mese e non facciamo niente di speciale. Ci concediamo le vacanze solo d’estate e approfittiamo dei parenti e della loro ospitalità per andare in Sicilia o in Liguria. Quest’estate siamo andati con gli amici in Toscana, ma è stato l’unico lusso dell’anno».
Per il resto si tira avanti come si può: in pizzeria una volta al mese e scambio dei vestiti per i figli. «Soprattutto per la più piccola — spiega — mia moglie si dà appuntamento con le altre mamme della scuola e si scambiano i vestiti dei bambini. Crescono così in fretta...». Tre anni fa, quando Silvana, la moglie di Lorenzo ha perso il lavoro, le preoccupazioni si sono moltiplicate. «Lavorava in una piccola azienda del milanese che con la crisi ha chiuso — continua Lorenzo — ci siamo ritrovati all’improvviso a erodere tutti i nostri risparmi. Per fortuna poi lei è riuscita a trovare un altro impiego ma anche oggi, a distanza di tempo, non abbiamo più recuperato quei pochi risparmi che avevamo sul conto corrente.
Qualsiasi evento improvviso, il dentista per esempio, ci mette letteralmente in crisi. Diciamo che restiamo a galla ma senza grosse esigenze». E le tasse? «Sono quelle occulte che pesano, l’imposta sulla casa ha pure una sua ragione di esistere ma se togliamo quella e poi ne inseriamo delle altre, che senso ha? In teoria dovremmo contribuire tutti per avere in cambio dallo Stato dei servizi, nella pratica siamo costretti a mandare a scuola i nostri figli muniti di carta e carta igienica».
03 dicembre 2013
Io, pensionata da 2.000 euro al mese. Vita a ostacoli con l’assegno congelato»
Assegno mensile da 1.300 euro netti: «Ma lo Stato ci tratta da ricchi. Da anni non vado in vacanza»

«Sa qual è la cosa che mi manca di più? La possibilità di programmare qualche piccola vacanza. Rinunciare a un abito nuovo non mi pesa. E nemmeno rimandare di qualche settimana il parrucchiere. Ma ecco: un viaggio ogni tanto è un piccolo lusso che oggi non posso permettermi». Benvenuti a casa Tonello. Ridente località di Marcallo, seimila abitanti in provincia di Milano. La signora Gabriella ha 59 anni. Era da un pezzo che aspettava questo 2013. Doveva essere il suo anno. «Dopo aver lavorato una vita in ufficio sono andata in pensione il primo gennaio. Non vedevo l’ora». E invece... «Invece mio marito è mancato in un incidente l’estate scorsa». Ma non è di questo che vuole parlare l’ex impiegata. «Venga, vorrei farle vedere cosa mi viene in tasca ogni mese con la pensione. Perché sa, il governo ci considera ricchi.
Il nostro assegno resta fisso. Inchiodato. E intanto l’inflazione cresce. Così il nostro potere d’acquisto diminuirà anno dopo anno. Non mi sembra giusto. Sia chiaro: se c’è da fare sacrifici si fanno. Io li ho fatti per una vita. Ma perché sempre i pensionati?». Vediamola allora questa pensione. Millenovecentoquarantatre euro lordi al mese. Che poi vuol dire 1.300 netti. «Da quanto ho capito, sono proprio a cavallo tra la categoria di quelli che potranno contare su un 90 per cento di rivalutazione e quelli che dovranno accontentarsi del 75 - impugna la calcolatrice la signora Tonello -. Alla fine si tratterà di pochi euro in meno ogni mese.
Ma quando hai un cappotto stretto anche pochi centimetri di stoffa in più ti cambiano la vita». A onor del vero va detto che il governo Monti aveva bloccato del tutto l’indicizzazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo (poco meno di 1.500 euro lordi al mese). L’attuale legge di Stabilità ha addolcito la pillola. «Secondo le nostre stime, i pensionati interessati dalla manovra lasceranno allo Stato in media 618 euro nel triennio 2014-2016 - fa presente Emilio Didoné, della segreteria dei pensionati Cisl di Milano –.
Comunque un salasso». Su molte cose si può discutere ma su un punto la signora Tonello ha ragione: 1.300 euro al mese non sono un assegno da nababbi. «Guardi pure i miei conti, non ho nulla da nascondere», apre un’agenda la signora. «Mio marito lavorava in una residenza per anziani. La reversibilità dovrebbe aggirarsi intorno ai 400-450 euro al mese. Morale: non arrivo ai duemila euro. E io sono una privilegiata perché vivo nella casa di mia madre. Certo, mamma ha dovuto pagare l’Imu visto che per lei si tratta di una seconda abitazione. I 250 euro della tassa li ho tirati fuori di tasca mia: mi pareva il minimo.
Poi ci sono i miei figli. Ragazzi straordinari. Il più grande, 36 anni, fa il ricercatore ad Anversa, in Belgio. Qui la migliore proposta che aveva ricevuto era un lavoro a termine da 600 euro al mese. Il secondo è un precario della scuola. Per fortuna è stato riassunto a ottobre. Il terzo si è laureato in Scienze della comunicazione. Massimi voti con lode. Per adesso gli hanno proposto solo due mesi di lavoro a cento euro l’uno. Va bene adattarsi, ma questo anche a me è sembrato davvero troppo. Gli ho detto: “Lascia perdere, c’è la mia pensione”».
I figli della signora Tonello sono gente in gamba. Si sono pagati gli studi facendo i casellanti sulla Milano-Torino. «Guardi che io so di essere una privilegiata per certi versi. Ho la casa, per esempio, e non devo pagare l’affitto. Ma non ho paura a dirlo: l’altro giorno sono andata da mia madre e le ho detto: “Hai visto? È tornato di moda lo scozzese. Ti ricordi quelle vecchie gonne che non si usavano più? È il momento di adattare il modello e rimetterle nell’armadio. La spesa la faccio al Carrefour perché c’è un’offerta speciale per gli anziani. Per dire, ieri ho comprato i moscardini a 1,90 euro al chilo.
Niente male, no? Le verdure le coltivo in un fazzoletto di terra che abbiamo qui di fianco a casa. Insomma, alla fine me la cavo». La signora Tonello si blocca. Ha un’esitazione. Poi riparte: «Io le ho raccontato tutte queste cose ma mi raccomando: non mi dipinga come una di quelle che si lamentano e piangono miseria quando c’è tanta gente che fa fatica davvero ad arrivare alla fine del mese. Però sì, un po’ della mia delusione vorrei che venisse fuori. Quando avevo tre figli piccoli da crescere ci potevamo permettere un mese al mare. Adesso le mie vacanze durano una settimana, ospite a casa di amici. Bel progresso, eh?».
25 ottobre 2013
Ho una pensione da 2.100 euro, ma non ho rubato nulla»
«Ho 62 anni e ho iniziato a lavorare quando ne avevo 17. Dal 2008, solo di tasse aggiuntive ho perso 684 euro. Poi il blocco»

Il punto è presto detto: è giusto che un pensionato da 2.110 euro netti al mese si lamenti se il governo, il Parlamento (e anche gli amici al bar) gli chiedono di lasciare che la sua pensione venga rosicchiata, anno dopo anno, dal tarlo dell’inflazione? Samuele Brivio, ex bancario e militante di Sel - uno che quei soldi li porta a casa precisi al centesimo - non ha dubbi: «No, non è giusto. No e poi no. Lo scriva pure. E le spiego anche perché».
Brivio, 62 anni, milanese del quartiere Niguarda, di patrimoni da amministrare se ne intende. Per una vita ha lavorato, in Comit prima e in banca Intesa poi, come responsabile delle gestioni. Dei soldi degli altri, si capisce. Oggi fa i conti nel proprio di portafogli. Apre il mobile del soggiorno e ci mostra il 730. «Beh, come vede, con 2.110 euro netti supero i tremila lordi. Morale: già da due anni mi hanno bloccato l’adeguamento all’inflazione. Il mio assegno reale diminuisce mese dopo mese. Sia chiaro: da me non sentirà un lamento.
Nessuno mi deve spiegare che c’è un’Italia che soffre, arranca e lotta per colpa della crisi: lo so già. Però non venitemi nemmeno a dire che con i miei duemila euro al mese faccio parte della categoria dei ricchi. Eh no, non ci sto! La verità è che lo Stato va a prendere i soldi nel mucchio, nelle tasche in cui è sicuro di trovarli, dove è convinto che poi, alla fine, tutto si risolverà con qualche mugugno».
«Però no, non sono ricco - continua Brivio, prendendo fiato a stento -. Benestante sì, sicuro. Ma io qui vorrei che per una volta si guardasse a chi sta meglio. E una cosa è certa: ai ricchi, quelli veri, non vengono chiesti sacrifici proporzionati al reddito».
C’è un altro rospo che il nostro pensionato-bancario non riesce a mandare giù. «Ma lei ha idea di tutti i contributi che ho versato? - riparte con nuovo slancio -. Ho iniziato a lavorare a 17 anni. Quando sono andato in pensione, nel 2009, potevo contare su 2.167 euro al mese. Adesso, con il blocco dell’indicizzazione e le tasse locali che aumentano, ne prendo 2.110: 50 euro in meno al mese, 684 che mancano all’appello ogni anno. E’ a questi conti che bisogna aggiungere la mancata indicizzazione. Con un’inflazione all’uno per cento mi spetterebbero circa 390 euro l’anno. E per fortuna che il tasso di crescita dei prezzi oggi è molto contenuto».
Ciascuno ha un buon motivo per lamentarsi. Ma dove lo Stato dovrebbe prendere quello che serve a far tornare i conti? «Hanno tolto l’Imu a tutti, e questo è già uno scandalo, per poi aumentare l’Iva. Guardi che io mangio quanto mangia una milionario, alla fine il rincaro dell’Iva al supermercato non pesa in modo tanto diverso sui nostri conti correnti».
Brivio ricorda quando nel ‘69 entrò in banca. «Ero appena stato licenziato dall’azienda per cui lavoravo perché ero andato al funerale delle vittime di piazza Fontana senza chiedere permesso a nessuno. In realtà avevo già fatto il colloquio in Comit e sapevo di avere buone possibilità. Il primo gennaio ‘70 sono stato assunto. Allora sapevamo di appartenere all’aristocrazia del lavoro dipendente. Ma non immaginavamo che saremmo finiti così. Con i figli precari che hanno solo noi come ancora di salvezza. La mia, per dire, insegna. Ma ogni anno viene licenziata a giugno e assunta a ottobre. Il suo compagno idem».
«E adesso basta, però - dice Brivio con gli occhi -. Guardi devo uscire». Quelli come lui si sentono stritolati. Da una parte chi sta peggio non perdona alla classe media quel po’ di benessere costruito in una vita. «E chi sta meglio si nasconde per non pagare pegno. Abbiamo detto tutto. Finiamola qui».
14 novembre 2013 (modifica il 14 novembre 2013)