Corriere della sera
Antonio Crispino /Corriere TV
Si fanno assumere nelle scuole del Nord (dove ci sono più posti). Ma
una volta immessi in ruolo ottengono il trasferimento vicino casa in
Sicilia grazie alla legge 104 per malattie inesistenti
Da Agrigento si era trasferita a Milano per insegnare. C’erano più posti
disponibili per l’immissione in ruolo. Era sana come un pesce. Poi
qualcosa dev’essere successo perché appena assunta l’insegnante è
diventata invalida e quindi beneficiaria della legge 104. Legge che, tra
gli altri diritti, consente di scegliere la sede di lavoro con priorità
sugli altri. E in questo caso quale poteva essere la sede preferita?
Agrigento. Detto, fatto. Nemmeno il tempo di accasarsi a Milano e nel
giro di un anno l’insegnante ha ottenuto l’immissione in ruolo e il
posto di lavoro vicino casa. È solo uno dei casi scoperti dalla Digos di
Agrigento.
La Sicilia è la regione che negli ultimi 5 anni ha fatto registrare
il maggiore incremento di invalidità personali (+64,43%) e permessi per
assistere parenti malati (+56,19%). All’interno dei dati regionali si
scoprono anomalie che riguardano il pubblico impiego. Nel comparto
scuola ad Agrigento e provincia lavorano 6139 persone tra docenti e
personale di segreteria. Al 30% di questi è stato riconosciuto un
handicap o un familiare disabile da assistere.
Già nel 2013 la Procura
agrigentina aveva scoperto un’organizzazione criminale per pilotare i
trasferimenti degli insegnanti nelle scuole utilizzando patologie
inventate. A capo c’erano un baby pensionato (46 anni) e un bidello di
un istituto alberghiero. Gli indagati furono 101, tra cui medici
specialisti, impiegati Inps, membri delle commissioni mediche, un
consulente della Procura, un ex assessore provinciale etc. Alcuni dei
quali arrestati e poi scarcerati per decorrenza dei termini di custodia
cautelare. A distanza di quasi due anni da quella inchiesta sembra non
essere cambiato quasi nulla. Quel sistema è praticamente ancora in
piedi.
Spulciando l’ultimo elenco disponibile dei trasferimenti nella
scuola dell’infanzia si notano tanti neo immessi in ruolo (quasi tutti
nelle scuole del Nord) che poco dopo hanno ottenuto il trasferimento
vicino casa grazie alla precedenza prevista dal contratto collettivo
nazionale integrativo. Ed è sufficiente un handicap del 67%, anche
cumulabile con varie patologie. Il risultato è che docenti con un
punteggio molto basso (in un caso addirittura pari a 0), ottengono la
precedenza su altri con più anni di servizio. E a restare in coda sono
anche coloro che magari non hanno una difficoltà personale ma un parente
gravemente malato da assistere. Alcuni di questi si sono riuniti in
un’associazione dal nome indicativo: «Insegnanti in movimento».
Ci sono
casi con figli autistici, affetti da malattie neurodegenerative o altri
gravi handicap che richiedono un’assistenza continua. Da anni sono
costretti a lavorare anche a 200 km da casa perché puntualmente
scavalcati dagli assegnatari della legge 104 personale (L. 104 art. 21).
Il picco si registra tra il personale A.T.A (amministrativo) con 506
casi su 1754 impiegati. Ma nella scuola dell’infanzia appena due anni fa
si contavano 327 fruitori di questo beneficio su un totale di 928
insegnanti, uno su tre (oggi sceso al 27,51%). «Se fossero percentuali
nella media ce ne faremmo una ragione. La beffa è che sappiamo per certo
che molti di quelli che ci scavalcano non hanno alcun tipo di malattia,
stanno bene. La verità è che il punteggio non vale più ad Agrigento»
commenta sconsolata Adele Licata Tissi. Da dieci anni in attesa di un
trasferimento per stare più vicina al figlio autistico.
La certezza di graduatorie «dopate» gliel’ha data proprio l’inchiesta
a cui accennavamo prima. «Esistevano due procacciatori di clienti -
dice il procuratore capo di Agrigento Renato Di Natale -. Erano persone
che si informavano sulle situazioni familiari degli insegnanti e
andavano a proporre certificati di invalidità a chi aveva bisogno di
scalare le graduatorie. Una volta concordato il prezzo potevano contare
su una rete di medici, funzionari, addetti ai lavori che per pochi euro
(da 300 a 500 euro, ndr) attestavano il falso o addirittura
manomettevano gli esami clinici pur di raggiungere la percentuale minima
di invalidità indicata dalla legge». Alcuni dati su tutti: ad Agrigento
il numero di invalidi (suddiviso tra scuole dell’infanzia, primaria,
primo grado e personale non docente) è 81. A Favara, comune della
provincia con appena 30mila abitanti, sono 83. Nel solo istituto
«Manzoni» di Raffadali ce ne sono 27 di cui 14 collaboratori scolastici. È il parziale più alto di tutto il comprensorio. E sono rilevazioni
successive al 2013, anno dello scandalo scoperchiato dalla Procura.
Sarà
una coincidenza ma entrambi i presunti «capi» del sistema abitano nei
comuni con il numero più elevato di beneficiari di 104, Favara e
Raffadali. Per capire il calibro di questi soggetti occorre parlarci.
Incontriamo uno di loro, Daniele Rampello. In paese tutti conoscono la
sua abitazione: «… Ah, la villa con piscina», esclamano. In un contesto
di case modeste, la sua spicca da lontano ed è facile individuarla. Al
citofono non risponde ma quando si accorge della nostra telecamera è lui
a venirci a cercare a bordo di un fuoristrada. La descrizione che fa di
sé è quella di un benefattore dal cuore d’oro. «Aiutavo gli altri, gli
davo una mano… Mi portavano le carte e gli davo dei consigli...», dice.
Poi cade in una serie di contraddizioni. Prima sostiene che gli incassi
erano frutto di regalie elargite «...di loro spontanea volontà». Un
minuto dopo ammette che «… prima ancora di iniziare facevamo un patto»
che veniva rispettato «una volta ottenuto il beneficio».
Sarebbe da considerare «una regalia»
anche la pensione che un falso invalido gli consegnava integralmente a
mesi alterni. In un passaggio successivo dell’intervista afferma con
estrema disinvoltura di essersi avvalso di medici legali. «Peccato che
questi medici erano tutti nelle commissioni Asp, Inps o impiegati
all’Asl» commenta il vice questore Carlo Mossuto. Rampello nomi non ne
fa ma a più riprese ci invita ad andare «da altri che si occupano di
questi affari a livelli molto più grandi. Dovreste andare verso Favara. A
me in fondo contestano solo sette o otto pratiche». A Favara, appunto,
c’è Antonio Alaimo. È un bidello di una scuola alberghiera ma anche
consigliere comunale. Appena scarcerato fu reintegrato nell’assemblea
cittadina. E in quell’occasione dichiarò: «Voglio riappropriarmi della
carica di consigliere comunale per dare il mio contributo contro la
disoccupazione». Dopo pochi giorni qualcuno deve avergli fatto cambiare
idea e si è dimesso.
Ma che ci siano altre persone coinvolte in questo
giro di affari e truffe lo sanno bene sia in Procura che in Questura. Lo
conferma chiaramente il vice questore Mossuto: «La vastità del fenomeno
non è assolutamente quella che ha svelato l’indagine, si tratta di un
malaffare molto più ampio. Abbiamo dovuto chiudere l’inchiesta a causa
dei tempi tecnici da rispettare ma tra noi ci dicevamo: qui non la
finiamo più. Ogni giorno scoprivamo nuove persone coinvolte». Gli fa eco
il Procuratore Di Natale: «La scuola è il caso più eclatante ma è un
fenomeno estremamente diffuso, almeno in Sicilia». L’attenzione ora è su
altri comparti della pubblica amministrazione dove già sono state
registrate diverse incongruità. Intanto una commissione medica sta
procedendo alla verifica di tutte le posizioni. Dei 15 convocati fino ad
ora solo tre sono stati riconosciuti realmente invalidi.
Secondo gli
investigatori sarebbero circa 1500 le pratiche da revisionare prendendo
in considerazione solo gli ultimi due anni. L’Ufficio scolastico
regionale ha disposto l’annullamento di alcuni trasferimenti. L’ultimo
decreto è del 5 giugno scorso. Tra le situazioni affrontate c’è quella
di Mariella Traversa che aveva ottenuto il trasferimento proprio a
Raffadali. Annullato «per insussistenza della precedenza prevista dal
contratto collettivo», ossia perché non è stata riscontrata alcuna
malattia. Il marito era impiegato all’Inps dove presentò la richiesta di
invalidità. È stato spostato altrove anche lui. Tutto questo a danno
anche di chi in famiglia ha davvero un caso grave di disabilità, ai
quali la legge riconosce sì una precedenza (L. 104 art. 33) ma minore
rispetto a quella che ottiene un insegnante invalido (L. 104 art. 21).
Quelli che incontriamo ci chiedono di non coprire i volti dei figli
«perché - dicono - non sono loro a doversi nascondere». Sui volti c’è
rabbia, disperazione e rassegnazione. Le difficoltà nell’assistere i
figli sono evidenti. Ci raccontano di una signora, madre di un ragazzo
tetraplegico che non riusciva ad accedere ai benefici di legge. «Alla
fine si è stancata e si è rivolta al sistema. Ha risolto il suo problema
in un mese». Chiediamo a una coppia di genitori - lei è insegnante - se
gli è mai venuta la tentazione di fare la stessa cosa. «Vedo ogni
giorno mio figlio sulla sedia a rotelle e poi incontro per strada
docenti che evidentemente stanno bene ma risultano malati. Chi prende la
104 in questo modo non sa cosa significa davvero essere in queste
condizioni, io farei di tutto per non averla».